L’ultima frontiera
domenica 26 Agosto 2012
23 agosto 2012.
Alaska, l’ultima frontiera. Così è scritto sulla targa dell’auto presa a noleggio, una Ford Escape bianca, che mi soffermo a leggere mentre carico le valige. Sono appena atterrato all’aeroporto di Anchorage, ho passato la dogana e percorso il lungo passaggio che porta al terminal 2. Piove, la temperatura è di 10 gradi centigradi. Il giusto impatto con il clima dello stato più settentrionale degli USA. Ho lasciato Milano al sorgere del sole dopo aver dormito 4 ore. La sera prima infatti, invece di coricarmi presto, l’ho trascorsa in compagnia di due novelli sposi, Cinzia e Ibrahim, cui avevo promesso di scattare qualche foto al matrimonio. Poche ore di riposo quindi, poi una doccia per rinfrescami dalla notte tropicale e via verso la Malpensa.
Altro particolare che mi colpisce sulla targa è la costellazione dell’Orsa Maggiore e la Stella Polare.
La bandiera dell’Alaska ha lo sfondo blu che ricorda il cielo e il nontiscordardime, fiore simbolo di questo paese. Su questo blu inteso brillano le stelle.
Esco lentamente dal parcheggio della Herz e imbocco la Seward Highway.
Sono passati due anni dall’ultimo viaggio oltre Oceano e molte cose sono successe: qualche mostra fotografica, La Fiaba nel Bosco, ho anche pubblicato un libro. Ma ciò che più importa è che circa due anni fa aveva inizio anche questa avventura. Perché, come dissi allora, un viaggio non comincia quando si fanno le valige ma molto prima, quando un’idea nasce nella testa.
E in questi mesi il pensiero dell’Alaska si è fatto strada sempre più nella mia mente ogni volta che vedevo in tv un documentario o un film ambientato in questa terra estrema. Un viaggio che, a differenza dei precedenti, ho dovuto organizzare più accuratamente, soprattutto nella scelta dei luoghi da visitare, nell’abbigliamento e nell’attrezzatura fotografica.
Ma la novità più grande non consiste in una nuova macchina fotografica o un nuovo obiettivo.
La novità più grande siede accanto a me, mentre costeggio il Granite Creek: ha due occhi verde chiaro, capelli castani quasi ricci lunghi fino alle scapole e un sorriso solare. Si chiama Ellen.
24 agosto
Ci alziamo all’alba, fuori il tempo è nuvoloso. Prepariamo gli zaini con la nuova attrezzatura prima di fare colazione. Questa volta le ore di sonno non son mancate. Appena giunti all’Alaska Saltwater Lodge, incantevole casa in legno tipica di queste latitudini posta sulla spiaggia della Resurrection Bay, dopo due ore di auto (e un volo di 10 ore), siamo letteralmente crollati sul letto.
Dalla veranda semicircolare chiusa che sporge dalla stanza si intravvedono le montagne dalle vette innevate che emergono sull’altra sponda della baia. Le lontre nuotano a venti metri dalla riva col tipico stile a dorso che adottano quando vogliono rompere le conchiglie utilizzando una pietra che poggiano sul petto.
È solo il secondo giorno ma già ci prepariamo per uno dei momenti forti del viaggio: tenteremo di avvistare una balena navigando tutto il giorno su una piccola imbarcazione che ci condurrà fino all’oceano aperto. Nello zaino un solo obiettivo e una sola macchina fotografica, acquistati, dopo cinque mesi di attesa, proprio per questo viaggio: la Canon 1DX con in superteleobiettivo EF 500mm 1:4 L II UMS.
Salpiamo alle 8.00 dal porto di Seward e già lungo la Resurrection Bay possiamo ammirare alcune Aquile dalla testa bianca. Dopo qualche ora di navigazione, al Dora Passage una famiglia di orche ci fa vivere l’emozione più intensa della giornata. Ci inoltriamo poi nella Aialik Bay e, infondo all’Holgate Arm, ammiriamo l’Holgate Glacier il cui fronte scende fino al mare. Alla nostra sinistra il Surprise Glacier. All’altezza dell’Harding Gateway la coda di una balena in lontananza ci illude per un attimo, non la rivedremo più…
25 agosto.
Seguiamo il Resurraction River. La meta della giornata è l’Exit Glacier. La vallata è ampia, ricoperta da foreste di conifere che, nelle zone più umide lasciano posto a pioppi, salici e ontani. Il ghiacciaio continua nel suo inesorabile retrocedere. Cartelli posti lungo la strada e il sentiero indicano dove si trovava la lingua di ghiaccio nelle diverse epoche a partire dal diciannovesimo secolo.
Rientrando a Seward ci fermiamo al Smok Shake, un vagone ferroviario trasformato in ristorante senza grandi pretese ma dall’atmosfera intima. Quello che ci vuole dopo il digiuno forzato del giorno precedente…
Ed ora, finalmente, seduto sulla veranda con vista sulla baia, mentre le barche a vela e i pescherecci passano davanti alla finestra, trovo il tempo per scrivere questo primo articolo!
A presto, Andrew.